Arti Marziali

Uno dei primi elementi che viene alla luce è che queste arti di combattimento o lotta si sono diffuse per tutto l’Estremo Oriente, ma nell'antichità apparentemente non sono mai state praticate in Occidente, neppure nell’area del Mediterraneo, dove si erano stabiliti dei contatti con l’Oriente già prima dell' espansione dell’Impero Romano. Le descrizioni delle tecniche di combattimento occidentali del passato infatti non fanno riferimento a tecniche praticate a est dell’India.
Arti marzialiL' arte della lotta e il pugilato di greci e romani, sebbene violenti, avevano soltanto qualche rassomiglianza con i loro corrispettivi orientali. I Greci praticavano una forma di lotta particolarmente violenta, il pancrazio, che finiva con la resa o la morte.  I gladiatori romani si servivano di abili tecniche di combattimento, dove si addestravano in scuole speciali, ma, nonostante si trattasse di una tecnica sofisticata, la lotta fra gladiatori divenne un vero e proprio spettacolo, staccandosi così da ciò che s’intende per arte marziale, forse la testimonianza più antica potrebbe essere costituita da due statuette babilonesi datate fra il 3000 e il 2000 a.C. una rappresenta un uomo con la mano nella caratteristica posizione di parata, l’altra mostra due uomini che lottano tenendosi l’un l’altro per la cintura, una forma di combattimento simile al Sumo, ancora oggi popolare in Giappone.

Non esistono altre prove che le arti marziali siano nate in Mesopotamia, tranne la considerazione che lì ha avuto origine una civiltà che avrebbe esercitato una forte influenza sia a oriente sia a occidente. I Cinesi già si divertivano alle esibizioni di acrobati indiani e del Mediterraneo orientale, molto prima che le vie della seta divenissero il percorso commerciale tra la Cina imperiale e Roma. In un certo senso è ancora evidente la stretta relazione tra i movimenti degli acrobati e quelli di chi pratica le arti marziali, come è altresì lunga la tradizione di correlazioni tra le tecniche di combattimento e quelle di spettacolo.

Certo è che l’arte marziale che giunse per prima in Oriente dalla Mesopotamia era molto primitiva e incominciò a evolversi in India e in Cina fino a culminare nelle sofisticate tecniche di oggi. Le tecniche di respirazione, allora sviluppate, sono tuttora pratiche proprie delle religioni del Medio Oriente, oltre a essere fondamentali negli esercizi yoga e in quelli cinesi per la longevità che costituirono probabilmente l’odierno Tai chi chuan.

Una leggenda narra d’un monaco indiano, chiamato Bodhidharma, giunto al tempio di Shao Lin (ai piedi dei monti Song Shan, nel regno di Wei, in Cina), che insegnava un approccio nuovo al buddismo, più diretto, che comprendeva anche lunghi periodi di stasi meditativa. Per aiutarli a sopportare le lunghe ore di meditazione, insegnò loro tecniche di respirazione ed esercizi per sviluppare la forza e le capacità di autodifesa nelle zone montuose dove vivevano.
Si ritiene che da questi insegnamenti sia nato il dhyana o scuola meditativa del buddismo, chiamata Chan dai cinesi e zen dai giapponesi. La tecnica di combattimento conosciuta come Shaolinquan, o "lotta del tempio di Shao Lin", si basa probabilmente sui suoi esercizi. Si pensa che molte tecniche di combattimento cinesi e giapponesi derivino da questa tradizione.

I libri in cui sono contenuti gli insegnamenti di Bodhidharma furono scritti tutti dopo la sua morte, inoltre tutte le testimonianze del tempio di Shao Lin andarono bruciate nel 1928, ed è molto improbabile che si possano trovare altri documenti che vedano Bodhidharma come il patriarca del Chan e delle arti marziali; ciò nonostante i suoi insegnamenti vivono tramite i praticanti delle arti che si dice abbia fondato.

Ma la nascita di un’arte marziale non si fonda soltanto sulla pratica di gesti tecnici e sulla potenza fisica. Esiste un contenuto ideologico, una serie di valori che si basa su una specifica visione del mondo e del posto dell’uomo all’interno di esso. Si ritiene che il buddismo zen e le arti marziali abbiano avuto un fondatore comune, così come risultano strettamente connesse anche la loro filosofia e la loro evoluzione storica.

È nella prima metà del secondo millennio a.C. che vissero i due più grandi filosofi cinesi. Confucio, che ci ha lasciato la sua teoria sull’uomo e sulla società intorno al 500 a.C., e Lao Ce che si pensa abbia esposto la sua visione mistica dell’uomo e del tao, o ‘via della natura, intorno al 300 a.C.  ( Il taoismo è particolarmente importante per la storia delle arti marziali cinesi, anche se le arti taoiste si sono diffuse all’esterno dell’Asia cinese solo in tempi recenti.)

Anche la filosofia del buddismo, fondata dal principe Gautama Siddharta Buddha, nato nell’India nord-orientale verso il 560 a.C., ha profondamente influenzato le scuole d’arti marziali di tutti i paesi in cui s’è diffusa, in Cina come in Giappone, in India come nel Sud-est Asiatico. Le dottrine del buddismo, del confucianesimo e del taoismo sono state riconosciute come le basi filosofiche delle tradizioni marziali non solo indiane e cinesi, ma di tutta l’Asia.

Le arti segrete sono un altro elemento particolare è la constatazione che qualunque studio sulla storia delle arti marziali è costretto a essere poco più che una speculazione basata su pochi fatti, i maestri d’un tempo infatti non rivelavano facilmente il loro sapere. A pochi veniva concesso di dividere con loro tecniche e conoscenze accumulate in anni di dedizione. Si racconta di giovani che attesero per anni l’onore di accedere ai luoghi di pratica e a cui, una volta entrati, fu proibito di dividere con altri questa loro esperienza.
In molte scuole la pratica si svolgeva in assoluta segretezza e la stessa esistenza della scuola era spesso tenuta nascosta alle autorità. Le tecniche di combattimento tradizionale non venivano quasi mai trascritte, ma trasmesse a voce solo a coloro che giuravano di mantenerne il segreto. Per esempio, il Tai chi chuan si basa su principi teorici di circa duemila anni fa, anche se non fu mai trascritto prima del 1750. Questa pratica di segretezza rende estremamente difficile qualunque ricerca nel campo delle arti marziali.

Le arti marziali si sono evolute in due forme applicative: come strumento di lotta e come mezzo di comunicazione sociale. La prima applicazione è sempre stata la più comune e anche impressionante. Dato il tipo mortale di strumenti nei combattimenti con le armi, ma anche il modo potenzialmente pericoloso in cui il corpo umano veniva usato, è facile qualificare come prima applicazione l’antico dilemma dell’uomo posto di fronte ad un altro uomo in combattimento: vincere o perdere, sconfiggere o venir sconfitto, soggiogare o venire soggiogato, uccidere o essere ucciso. Questa dimensione derivava da un ambiente estremamente ostile dove era necessario garantirsi la sopravvivenza. La seconda applicazione era intesa come forma di comunicazione sociale, modellata dalle sequenze precise di un rituale, dove gesti e armi erano usati simbolicamente per esprimere un’idea, evocare una tradizione, alleviare le paure dell’uomo. In questo senso divenne uno spettacolo e assorbì le nobili arti della tradizione: ad esempio l’arte dell’arco ancora oggi viene usata come cerimonia, ma esistono numerosi esempi di dimostrazioni legate alla religione o ai dignitari come il Sumo, o i kata (esercizi formali) del Karate.

L’evolversi di queste discipline in qualcosa di ben più complesso dell’esercizio ginnico per lo studio dell’hara ( punto di equilibrio, sorgente del soffio vitale) e del ki (energia vitale), trasformarono le arti marziali in metodi d’integrazione universale che si prefiggevano il conseguimento di una posizione equilibrata nel centro della realtà e una partecipazione alla sua energia coordinata e illimitata, intesa a perfezionare l’evoluzione della personalità di un uomo. La cultura e la filosofia dell’arte marziale influenzano l’una e l’altra.
Per comprenderle più profondamente occorrerebbe conoscere le distinzioni tra i differenti retroterra delle varie arti, come il taoismo e il buddismo in Cina, lo zen e lo shintoismo in Giappone, che sono alla base di atteggiamenti e di pratiche nelle arti marziali.

Attraverso la pratica marziale come disciplina di vita i Maestri di queste discipline hanno imparato a condurre una vita semplice, a nutrire un profondo rispetto e amore per il prossimo. Citava Musashi  una “Visione serena dei doveri” nel senso di accogliere l’esercizio dei propri doveri come occasione di miglioramento, nell’esercizio delle Arti ma anche nel quotidiano. L’affinare spirito e volontà è dovuto in ogni occasione: la pratica è solo una parte dell’allenamento complessivo dell’individuo. Disciplina, sacrificio e generosità hanno ragione d’essere per influenzare il quotidiano.   Chi pratica queste discipline deve possedere una ferrea volontà, disciplina, passione, un’energia e una forza eccezionale nel fare continuamente pratica per ottenere la perfezione.
Così la via (stile di vita) diventa praticabile, coinvolgendo emozioni, energie e motivazioni sempre nuove alla ricerca del proprio spirito interiore, nel contesto del quale la pratica marziale si sviluppa.

 

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