L’entusiasmo
di Ilio Semino
E’ una circostanza indispensabile per la pratica di una qualsiasi attività, sia essa di tipo lavorativo che ludica o sportiva, manuale o intellettuale, artistica od artigianale. Purtroppo a volte l’entusiasmo viene a mancare.
Senza entusiasmo ci si annoia, il tempo non passa, quello che stiamo facendo ci appare mal fatto, se stiamo utilizzando attrezzi o strumenti rischiamo di ferirci o di ferire altri perché siamo svogliati, disattenti.
Nella pratica sportiva in generale ed in quella marziale e tradizionale in particolare, l’entusiasmo è un mezzo insostituibile per migliorare, per affrontare nuove esperienza, per progredire.
Ho conosciuto molte persone, praticanti karate, che mi hanno confidato di avere intenzione di smettere la pratica o, in molti casi, di averla smessa perché “avevano perso l’entusiasmo”.
Mi sono chiesto a che cosa possa essere dovuta questa circostanza e quali potessero essere le soluzioni. A volte infatti con rinnovato entusiasmo si raggiungono obiettivi che non si sarebbero immaginati prima.
Gli agonisti. Spesso perdono entusiasmo a praticare per delusioni sportive. Per sconfitte che ritengono ingiuste o per scelte di altri che, a loro parere, li penalizzano. O per infortuni che stentano a risolversi, per traumi fisici o psichici che per lunghi periodi ne condizionano il rendimento. Oppure perché esistono incomprensioni con i compagni o con i tecnici.
In questi casi ritengo sia indispensabile effettuare uno stop. Totale. Prendersi un lungo periodo di riflessione smettendo completamente la pratica specifica e dedicandosi ad altre attività di carattere completamente diverso, contemporaneamente curando clinicamente i mali.
Risolto il problema fisico (guarigione infortunio o ritrovata fiducia in se stessi), ritengo interessante riprendere l’attività ponendosi obiettivi diversi da quelli lasciati prima: vedere la pratica agonistica come un momento ludico, assolutamente ininfluente ai fini del piacere dell’allenamento. Magari cambiando luogo di pratica, ricercando nuovi compagni e nuovi insegnanti. Senza naturalmente rinnegare coloro con cui abbiamo lavorato prima, ma evitando di ripercorrere le stesse strade che ci hanno portato alla perdita dell’entusiasmo.
A volte gli atleti frequentano luoghi in cui la loro “fama” è consolidata: sono stati campioni, hanno lasciato segni importanti nella società o nel gruppo di lavoro, e questo fatto gli pesa, perché sembra loro di non aver più nulla da dimostrare.
Affrontando una realtà nuova ci si rimette in discussione, ritornando ad essere uno qualunque e si rinnova l’entusiasmo di ritornare a diventare “famosi”.
I praticanti non agonisti ovviamente sono motivati da altre necessità: a volte l’entusiasmo per la pratica viene a mancare perché non si trova in quello che si fa, quello che si stava cercando. Bisogna assolutamente interrogarsi per scoprire le motivazioni di questa delusione: è dovuta alla poca capacità dell’insegnante? Alla scomodità del luogo di pratica? Ad una nostra insufficiente applicazione? Oppure è proprio la specialità scelta che non va?
In questi casi la figura del Maestro è molto importante. Perché se una persona decide di praticare il karate è dovere del Maestro far sì che egli si trovi a suo agio. Che piano piano capisca le motivazioni che lo spingono a continuare, che comprenda quali sono gli obiettivi che vuole raggiungere, che sia consapevole che è sulla strada giusta per raggiungerli.
L’entusiasmo si ritrova nelle piccole cose: la presa di coscienza delle cose semplici, la riscoperta di antiche gestualità, il piacere di ripercorrere tappe attraversate con troppa fretta e con troppa superficialità perché ritenute inutili.
Spesso ho verificato che l’entusiasmo si deve cercare “tornando indietro”.
Ho ritrovato praticanti di vecchia data che da anni si trascinavano in palestra pensando di trascorrere un paio d’ore noiose, durante le quali si sarebbero ripetute cose trite e ritrite, fatte senza quel piacere della novità, senza entusiasmo. A loro ho provato a riproporre una rivisitazione delle tecniche imparate durante i primi mesi di pratica, fornendo loro una chiave di lettura diversa, più profonda, approfittando della loro esperienza ventennale di karate che gli consentiva di capire.
Ho visto rinascere l’entusiasmo della pratica del combattimento prestabilito in praticanti che da anni si dedicavano al kumite sportivo, affermando che era l’unico obiettivo dell’allenamento; ho condiviso ore di allenamenti e discussioni attorno al primo kata, al quale, studiato con attenzione, analisi ed entusiasmo, veniva finalmente riconosciuta l’importanza che merita.
Quasi tutti i miei vecchi compagni di pratica degli anni ’70, con i quali ci siamo ritrovati dopo aver percorso strade diverse, hanno ritrovato il piacere di praticare karate grazie al rinnovato entusiasmo che ha riacceso in loro la pratica antica, naturalmente proposta in maniera attuale ed aggiornata nell’aspetto fisiologico.
Io stesso, praticante dal 1965, che ho avuto la fortuna di vivere in prima persona tutti i momenti importanti del karate, da atleta, discepolo, insegnante, spettatore, dirigente, tutte le volte che ho sentito mancare l’entusiasmo ed il piacere di praticare, sono andato alla ricerca, introspettiva o pilotata da altri, dell’ origine delle cose, del pensiero e della vita dei Grandi maestri del passato, della filosofia del karate.
Ricordando sempre il celebre aneddoto che vuole il Maestro Gichin Funakoshi ottantenne, finalmente felice di aver compreso la parata alta.