Il karate di Okinawa:
quale tradizione?
TRA A RTE E SPORT
NEW EVENTS KARAT E 2004 di Fabrizio Comparelli
Mi auguro che questo lavoro possa essere la premessa metodologica di una serie di “studi” che sto portando avanti ormai da qualche tempo, in ciò seguendo non solo il mio interesse di appassionato di karate e di arti marziali in generale (passione che condivido pertanto con tutti i lettori e i praticanti), ma anche la mia indole
di curioso di storia e di tradizioni.
Cercherò quindi di concentrarmi sulla storia e lo sviluppo del karate di Okinawa. Ho già avuto modo di dire come sia praticamente impossibile parlare del karate okinawense (con qualunque nome o kanji venisse indicato) prima del 1868, e anche questa non è che una data di comodo, rappresentando ufficialmente la fine dell’epoca Tokugawa, con tutta la rivoluzione socio-politica che ne conseguì. L’assoluta mancanza di dati oggettivi rende vana ogni ricerca con pretese anche minime di oggettività “scientifica”. Oltre questa data, invece, la luce si fa un poco, ma solo un poco, più chiara, avendo lo studioso (o il curioso) la possibilità di giovarsi di alcuni scritti di rinomati maestri per così dire relativamente “informati dei fatti” che vissero a cavallo tra il XIX e il XX secolo, e della memoria orale (per quanto affidabile) dei maestri allievi di questi maestri. Di tali notizie c’è vasta circolazione, soprattutto da quando gli allievi di terza generazione rispetto a Itosu, Azato, Higahonna, etc. hanno messo per iscritto i loro ricordi e i principi delle rispettive scuole, nonché i kata.
Qualche tempo fa ho già avuto il piacere di scrivere su tre grandi maestri di Okinawa: Matsumura, Itosu e Azato. Il favore incontrato da questi lavori, mi induce a proseguire in maniera sistematica su determinati argomenti e a continuare a illustrare, per quanto e fin dove è possibile, il sistema di karate okinawense che si
presume (ma è solo una presunzione!) originale. Una cosa è sicura: senza l’ausilio della rete internet, ogni tipo di ricerca in questo campo sarebbe in Italia pura utopia. Troppo poche sono le pubblicazioni di carattere scientifico che riguardano la storia del karate, il cui sviluppo storico e tecnico sarebbe un arg o m e n t o
degno di essere ospitato in una enciclopedia specifica. Per fortuna, conoscendo un poco le lingue europee e avendo la disponibilità di consultare la bibliografia internazionale, la situazione è meno cupa.
Eccellenti pubblicazioni in lingua inglese, francese e tedesca attendono solo una casa editrice italiana disposta all’impresa della divulgazione nella nostra lingua.
Come che sia, lo dicevo già prima, un insperato aiuto giunge dalla rete, dove una miniera di informazioni e di filmati storicamente importantissimi e bellissimi, sono a disposizione di tutti. Tuttavia, come spesso accade col materiale disponibile in rete, occorre avvertire l’utente ed il lettore della eterogeneità del materiale a disposizione. L’assunto di base del nostro lavoro, che credo indiscutibile, è il seguente: andare alla ricerca delle radici storiche del karate nella speranza di scoprire la verità o l’unità rispetto al karate giapponese considerato come eretico per i motivi più diversi, andare alla ricerca di un porto tranquillo o una certa uniformità
di stile e tradizione, sarebbe frustante e deludente.
Il karate okinawense presenta infatti molte più diramazioni rispetto al karate giapponese e questo per un motivo abbastanza chiaro: le tecnica di lotta e i rispettiva kata si tramandavano all’interno della famiglia, solo con rare eccezioni soprattutto verso la fino del 800 (un esempio fu proprio Funakoshi). Quando l’insegnamento
venne esteso anche ad allievi esterni, come fecero ad esempio già Itosu ed altri maestri della sua generazione, nacquero anche i confronti e le pretese di ortodossia rispetto ad un modello originario peraltro, io credo, già allora sconosciuto o perduto.
Il karate, è vero, è un fiume che ha molte diramazioni, ma la corrente principale di questo fiume, se mai è esistita (cosa di cui dubito), è sotterranea, inconoscibile, e lo sarà per sempre.
L’unità è solo una nostra pretesa, e l’unico studio possibile è quello della diversità specifica in una generale unità d’arte. Dopo aver descritto le vite dei tre grandi Maestri Matsumura, Itosu e Azato, mi preme, per via della grande influenza che avrà nello sviluppo di alcuni dei più famosi stili di Okinawa, tratteggiare la vita e il
karate di Chutoku Kian.
Chutoku Kyan
Figlio di Kyan Chofu, h a n k o (responsabile della custodia del sigillo ufficiale di sua maestà) di re Shotai- O (1843-1901), guerriero e dotto in letteratura e filosofia cino-giapponese, Chutoku nacque nel villaggio di Gibo (Shuri) nel 1870. Dal 1882 al 1886 Kyan seguì il padre a Tokio, dove sia per la sua discendenza aristocratica, sia per il fisico minuto (scarsa era anche la vista, tanto da essere soprannominato Chan Mi-Gwa, “Kyan occhio debole”), inizia col padre lo studio della letteratura cinese, del karate e del jujitsu, arti in cui il giovane Kyan si applicò in maniera assai diligente data la sua esile corporatura.
Sulla severità dell’allenamento imposto da Kyan padre, circolavano vari aneddoti: pare che padre e figlio, incuranti del freddo e del cattivo tempo, si allenassero
all’aperto; un tale stoicismo e una tale dedizione erano additati come esempio. Al ritorno ad Okinawa, Kyan proseguì il suo studio del karate con Matsumura Sokon e Oyodomari Kokan. Più incerto è il suo apprendistato sotto Itosu. Tale apprendistato, è segnalato sia da Nagamine (I grandi maestri di Oki -nawa, p. 101; id. L’essenza del kara -te-do di Okinawa, p. 40), sia da G.Alexander (Okinawa isola del kara -te, p. 58 ), ma non da Bishop (Kara -te di Okinawa, p. 91). Inoltre, in un articolo in lingua inglese apparso sulla rivista Bugeisha Magazine (1998) intitolato “Seibukan. The Shorinjiryu karate of Shimabukuro Zenryu”,
pp. 13-22, l’autore, John Sells, dichiara che Chibana Chosin, successore di Itosu, abbia sempre negato che Kyan sia mai stato allievo di Itosu.
Se Kyan abbia mai frequentato Itosu resta dunque un mistero, me è certo che i kata insegnati oggi sotto il nome di Kyan, non hanno nulla a che vedere con lo shuri-te di Itosu.
Come che sia, pare che Kyan abbia appreso i seguenti kata: Sesan, Naifanchi e Gojushiho da Sokon Matsumura (shuri); Kusanku da Yara Chatan (shuri); Passai da Oyodomari Kokan (tomari); Wanshu da Maeda Pechin (tomari); Chinto da Kosaku Matsumura (tomari), Ananku da un emigrato proveniente da Taiwan, nonché un kata di bo.
Anche sulla sua gioventù gli aneddoti sono numerosi: c’è chi racconta di una vita povera e di stenti e chi invece fa dell’esile maestro un frequentatore di bordelli. Anche in questo caso, regna l’agiografia, motivo per cui non riportemo tutta una lunga serie di storielle che hanno dell’incredibile.
Due dei suoi migliori allievi, Arakaki e Taro Shimabuko, una volta causarono una rissa durante un combattimento tra galli (uno tra i divertimenti preferiti di Kyan), per testare la forza del proprio maestro.
Pare che Kyan ne sia uscito illeso combattendo con un braccio solo, mentre con l’altro teneva stretto il suo gallo. Molti furono i suoi allievi, e tutti fondarono uno stile che si richiamava più o meno agli insegnamenti del maestro. Tra questi: Joen Nakazato, Shosin Nagamine, Zenryo Shimabukuro, Tatsuo Shimabuko,
Eizo Shimabuko. Tra le caratteristiche del karate di Kyan, le più citate sono: lo sviluppo delle uscite laterali (fondamentali per combattere contro avversari fisicamente più dotati di lui), micidiali tecniche di gamba e l’utilizzo del pugno verticale.
L’ultima esibizione pubblica di Kyan risale al 1942, all’inaugurazione del dojo di Shosin Nagamine a Naha.
Nagamine racconta con commozione quella dimostrazione del maestro che all’età di 73 anni era ancora veloce e limpido nei movimenti, tanto da incantare il pubblico presente.