L’espressione
della potenza nel karate
eventskarate 20 maggio 2003
S P OT E
NEW EVENTS KARAT E di Piero Mestici
Volevo rispondere alla seguente domanda: che “immagine” può essere presa come esempio di potenza del karate? Avrei pensato alle due seguenti: 1) un karateka che rompe un blocco di cemento o ghiaccio (e non una tavoletta); 2) l’esecuzione di un kata.
Per quanto riguarda le tecniche di rottura, la cui pratica mi sembra stia scomparendo, fino ad oggi persistono nell’immaginario collettivo soprattutto dei non praticanti e bambini, quale espressione “principe” della potenza. Quasi un obiettivo da raggiungere. Per quanto riguarda l’esecuzione dei kata, ho visto diversi atleti e maestri che rispettivamente nelle competizioni o in allenamento eseguivano i kata, in modo tale che mi immaginavo intere lastre di cemento andare in frantumi al termine
dell’esecuzione di ogni sequenza di tecniche. Non vuol dire esprimere potenza? Questi sono due esempi molto diversi che mi fanno pensare alla potenza. Poi mi sono accorto di non aver minimamente pensato al kumite sportivo. Come mai? Chi si specializza nel kumite sportivo non potrà mai esprimere potenza? Fatte
queste considerazioni ho deciso di concentrami su queste tre espressioni del karate per ricercare in loro delle componenti comuni e vedere se la possibilità di suscitare potenza possa essere in qualche modo controllata dal karateka a suo piacimento e soprattutto di avere la certezza che anche nel kumite sportivo sia presente la potenza.
Ma cosa devo ricercare in una tecnica di karate per esprima potenza? Per rispondere a questa domanda mi può aiutare la fisica: la potenza, che indichiamo con P, si
esprime attraverso la seguente formula:
P = L / Dt 1
ricordiamo che:
F = m x a 2
L = F x s 3
v = s / Dt 4
E quindi otteniamo la seguente trasformazione:
P = L / Dt = F x S / Dt =
= m x a x / Dt = m x a x v 5
Dove le lettere introdotte rappresentano: F la Forza, L il Lavoro, m la massa, a l’accelerazione, v la velocità, e Dt un intervallo di tempo.
Leggiamo le formule per avere un percezione concreta del loro significato.
Immaginiamo di avere un palla la cui massa è m, se la spingo applico una forza F e la palla si muoverà con una certa accelerazione a e velocità v. Se voglio misurare la forza devo moltiplicare la massa della palla con l’accelerazione che essa acquista, come si vede dalla formula 2. La palla, spostandosi, percorre un certo spazio
s, il prodotto della forza F per lo spostamento s mi da il lavoro compiuto dalla mia spinta, come si vede dalla 3. Il lavoro esercitato dalla mia spinta avrà una durata di tempo pari a (es. 5 secondi) il rapporto tra il lavoro della spinta ed il tempo impiegato rappresenta la potenza della mia spinta, come si vede dalla 1. Quello
che si evince dalla formula 5 è che la potenza dipende da tre fattori la velocità, l’accelerazione e la massa che viene coinvolta nella esecuzione del colpo. Abbiamo risposto ad una domanda ovvero siamo in grado di controllare la potenza dei colpi semplicemente modificando i tre fattori sopra enunciati, ed ognuno lo può
fare come meglio crede. Se le formule non vi sono piaciute(per me è così) possiamo completamente dimenticarcele e concentrarsi solo sulla seguente frase: se io voglio massimizzare la potenza devo avere la massima velocità, la massima accelerazione e la massima massa coinvolta nel momento dell’impatto.
Finalmente sappiamo cosa cercare nel tecniche di rottura, nel kumite sportivo e nel kata.
Da diversi articoli risulta che per una buona pratica delle tecniche di rottura si deve: 1) coinvolgere tutto il corpo nella tecnica di rottura; 2) eseguire la tecnica alla massima velocità; 3) concentrare tutto il colpo in un unico punto; 4) impattare alla massima accelerazione. Tutto torna con quello che ci dice la fisica. Per quanto
riguarda il kata così si esprimeva il Maestro Shoshin Nagamine: “Ogni movimento nei kata deve essere eseguito nel seguente ordine: prima gli occhi, poi i piedi, ultime le mani. I movimenti devono essere simultanei, proprio come la luce solare che fluisce attraverso una stanza quando viene aperta una porta…”, mentre così
si esprimeva il Maestro Otsuka “Ricorda che i movimenti devono essere eseguiti usando tutto il corpo, mai usando solo le gambe o le braccia...”.
Ognuno pratica il kata per come lo sente, quello che voglio sottolineare con queste frasi è che la velocità, quando si parla di “luce solare” e la totalità del corpo coinvolto nella tecnica, per aumentare la massa, sono fondamentali proprio come avevamo dedotto dalla fisica.
Per quanto riguarda l’accelerazione, durante l’esecuzione di una tecnica, per esempio di un pugno, sia la velocità sia l’accelerazione aumentano e poi diminuiscono fino ad arrivare rispettivamente: 1) la velocità a 0 m/s (braccio steso); 2) l’accelerazione ad avere un valore negativo (perché il colpo rallenta durante l’ultima parte
dell’estensione).
Possiamo sicuramente immaginare che l’impatto avvenga ad accelerazione massima e quindi questo spiega perché abbiamo potenza nel vedere praticato un kata.
Per quanto riguarda il kumite sportivo sicuramente le tecniche posseggono 1) massima velocità; 2) coinvolgimento di tutto il corpo. Quello che manca è il contatto: infatti le tecniche nel kumite sportivo vengono controllate.
Quindi la mancanza di potenza è fondamentalmente dovuta alla riduzione del contatto, per giuste ragioni di sicurezza.Quindi l’unico modo per esprimere la potenza è quello di tirare le tecniche senza controllo o stese fino alla fine della leva naturale? Io non credo. Per ricercare la potenza di un colpo che non arriva a contatto
dobbiamo analizzare il momento in cui il colpo, per brevità ci riferiamo solo a tecniche di braccia, è correttamente arrestato. Ancora una volta la fisica ci dice che la massima accelerazione viene raggiunta quando il braccio raggiunge una estensione pari ai 2/3 della propria lunghezza.
Stendendo oltre il braccio, l’accelerazione diventa contraria (decelerazione), ovvero diminuisce la velocità del colpo quindi si riduce la potenza.
Mi sembra evidente che il giusto momento di arresto sia quando raggiungiamo l’estensione dei 2/3 dell’arto e non l’estensione totale. Quindi anche una tecnica controllata permette di esprimere la potenza anche se si manifesta in maniera non distruttiva. Quello che ho detto trova riscontro anche nel criterio di valutazione
di un ippon degli arbitri. Nessun giudice assegna un ippon per uno tzuki a braccio teso che arrivi ad un millimetro dal viso, mentre invece uno tzuki che si arresta con il braccio non del tutto steso anche a 2 millimetri sarebbe considera valido.
Alla fine di questa discussione è chiaro che in tutte e tre le manifestazioni del karate abbiamo la potenza, ma questa si esplica in modi diversi.
Nel caso delle tecniche di rottura, essa è percepita in maniera plateale, negli altri due invece è leggermente nascosta e quindi è richiesto un occhio più sensibile al Karate. Una efficace dimostrazione di tameshi-warid Lo yoko geri del grande campione Luca Valdesi, o il kizami del maestro De Luca.