Sokon Matsumura

di Fabrizio Comparelli

 

 

Si tratta di una delle figure più importanti del karate di Okinawa, il primo creatore, se non di uno stile come modernamente inteso, almeno di una ‘sistemazione’ logica delle conoscenze acquisite che andrà poi sotto il nome di shuri-te dal luogo in cui il maestro risiedeva (il villaggio di Shuri appunto), che sarà la base del futuro Shorin-ryu. Matsumura avrebbe ricevuto l’insegnamento di un eroe locale di Okinawa, Tode Sakugawa, ma i rapporti tra i due non sono certi, mentre la tradizione orale tramanda come nome del maestro di Matsumura un cinese di nome Iwa. Su Matsumura (le date di nascita e di morte sono purtroppo approssimative, 1809-1890), siamo relativamente informati, anche se la sua vicenda biografica si è confusa per sempre con la sua leggenda in più punti. Nacque da una famiglia nobile di Ryukyu, e a vent’anni fu nominato guardia del Principe al Palazzo di Shuri, avvenimento da cui deduciamo che il suo livello di abilità doveva essere già ragguardevole. Iniziò anche la pratica del kendo della scuola Jigen-ryu, il cui allenamento di base consisteva nel colpire con un pezzo di legno un tronco effettuando uno slancio di tre passi in avanti ed emettendo un kiai terribile: bisognava poi continuare a colpire il tronco fino all’esaurimento della respirazione, per poi ricominciare da capo. Una delle massime di questa scuola era: tremila colpi al mattino, ottomila alla sera. Doveva trattarsi di un esercizio durissimo, la cui efficacia sul campo di battaglia era però ben nota. Tutti temevano gli attacchi di spada degli adepti del Jigen-ryu. Di questa scuola, Matsumura divenne maestro. La pratica di colpire il makiwara, sconosciuta in Cina, è forse un’estensione dell’allenamento in pratica nel Jigen-ryu. Durante alcuni viaggi a Pechino, pare che Matsumura abbia appreso i principi della suola cinese del nord. Ritornato ad Okinawa nel 1837, Matsumura riprese il suo posto di guardia imperiale e continuò il suo allenamento con maestri cinesi residenti a Ryukyu. Ad Okinawa si tramandano vari aneddoti su questo maestro, sia divertenti sia istruttivi. Il diciassettesimo re di Ryukyu si ritirò, dopo la sua abdicazione, nella sua abitazione di campagna e lì viveva tranquillamente. Nel vicinato un contadino aveva un toro selvaggio che spesso scappava negli orti adiacenti distruggendo tutti gli ortaggi. Nessuno riusciva a fermarlo e a domarlo. L’ex-re richiese l’aiuto di Matsumura, che non si rifiutò di prestare aiuto al suo ex-signore e padrone. L’unica richiesta del maestro fu una dilazione di alcuni giorni prima di affrontare pubblicamente la bestia feroce. Durante quest’arco di tempo si presentò tutti i giorni, sempre vestito alla stessa maniera, nella stalla dove il toro era legato colpendolo sulla fronte con un bastone corto. Il toro dapprima cercava di caricare, ma impossibilitato perché legato, nel giro di una decina di giorni all’arrivo di Matsumura si ritraeva spaventato. Allora il maestro si dichiarò pronto ad affrontare il toro. Il giorno dello scontro una gran folla era presente. Il toro venne lasciato libero nell’arena, furioso. Poco dopo entrò Matsumura, vestito con il medesimo abito con il quale andava a dare la sua ‘lezione’ al toro e con lo stesso bastone corto in mano. Lo stupore della folla era al massimo: Matsumura era dato per spacciato. Il toro si slanciò verso il suo nemico, ma non appena riconobbe il vestito e il bastone del suo vessatore, fuggì con un gemito. La folla inneggiò Matsumura, il quale solo in seguito rivelò il suo segreto. Pare che anche la moglie di Matsumura fosse un’esperta nell’arte del combattimento. Il suo nome era Tsuru, ed era tanto bella che doveva difendersi dagli spasimanti, così che la madre gli permise di addestrarsi nella lotta. Divenne così esperta da decidere che si sarebbe donata solo a chi fosse riuscita a batterla (un mito simile ricorre nel mondo greco per la principessa Atlanta, ma in relazione alle corse dei cavalli). L’unico a riuscire nell’impresa fu Matsumura. Funakoshi chiese notizie di questa donna eccezionale al nipote di Matsumura e Tsuru: questi raccontò che la nonna sollevava sacchi di riso da sessanta chili con la mano sinistra per spazzarvi sotto. Funakoshi considerava quest’episodio una ‘prova’ sufficiente per dimostrare che Tsuru era una praticante di karate. Ma l’episodio più famoso della vita di Matsumura è senza dubbio il duello con Uehara. L’episodio dovrebbe svolgersi intorno al 1880, Matsumura doveva avere già una settantina d’anni, e Funakoshi ammette, nel riportarlo, che già ai suoi tempi aveva assunto i colori della leggenda. Matsumura, dopo essere stato ‘licenziato’ dal suo posto di insegnante di corte per aver malmenato il figlio del capo clan, aveva deciso di non voler più né insegnare né praticare il karate, ma venne sfidato da un giovane incisore di nome Uehara. I due si incontrarono all’alba: Matsumura fronteggiò l’avversario ponendosi in posizione naturale (hidari-shizontai) con il mento coperto dalla spalla sinistra. Fatto sta che l’incisore tentò varie volte di attaccare Matsumura, ma ogni volta si sentì come respinto da una energia segreta, fino a quando Matsumura emise un terribile kiai che fece comprendere all’incisore di aver definitivamente perso il duello. Oltre a quanto già notato in precedenza, è interessante notare come tale episodio rientri in una lunga serie aneddotica, ben rappresentata in Giappone, sulle virtù quasi miracolose del kiai come arma di battaglia (e cfr., in tal senso, quanto riportato in O. Ratti/A. Westbrock, I segreti dei samurai, pp. 390-394). Pare comunque che Matsumura pronunciò, più o meno, le seguenti parole (riportate da Funakoshi, sia in Karate-Dō p. 41 che in Karate Dō Nyūmon, p. 111, con qualche piccola variante): «Oggi sono un uomo più saggio di quanto fossi ieri. Sono un essere umano, ed un essere umano è una creatura vulnerabile, che non può assolutamente essere perfetta. Dopo la morte, ritorna agli elementi, alla terra, all’acqua, al fuoco, al vento, all’aria. La materia è vuota. Tutto è vanità. Noi siamo come fili d’erba o alberi della foresta, creature dell’universo, dello spirito dell’universo, e lo spirito dell’universo non ha né vita né morte. La vanità è il solo ostacolo alla vita». Un discorso, a parer mio, che Funakoshi forse inventa a bella posta per avvalorare la sua decisione di mutare gli ideogrammi che componevano la grafia della parola karate da ‘mano cinese’ a ‘mano vuota’. Il riferimento buddista di Matsumura alla ‘vanità del tutto’ e al ‘vuoto della materia’, ricorda infatti alcune espressioni delle scritture buddiste che Funakoshi stesso adduce in vari luoghi delle sue opere a motivazione della sua storica scelta, ossia shiki-soku-zeku o ku-soku-zeshiki che vogliono dire ‘tutto è vuoto’, ‘tutto è vanità’, dove ku può essere anche pronunciato kara.

            Per trent’anni Funakoshi praticò costantemente all’interno dello Shorin-ryu, lo shuri-te con Azato e Itosu, Matsumura e Niigaki, e tuttavia anche il sistema naha-te non gli era affatto ignoto (si ricordi la pratica insieme al maestro Toono) se nel 1922 in Ryu-kyu Kempo karate, la sua prima pubblicazione, Funakoshi descrive i cinque Pinan, le tre forme di Naihanchi, Bassai-dai e Bassai-sho, Kushanku-dai e Kushanku-sho, Gojushiho, Seisan, Chinto, Chinte, Ji’in, Jion, Jitte, Wanshu, Wankan, Rohai, Jumu, Wando, Sochin, Niseishi, Sanseiru, Suparimpei, Wankukan, Kokan e Unsu (i nomi sono ancora quelli okinawensi), un sistema decisamente misto, molto simile al futuro Shito-ryu di Mabuni. Tuttavia, due furono i maestri che segnarono definitivamente la vita di Funakoshi: Anko Azato e Anko Itosu.