Rilassamento
Eventskarate 12 ottobre 2010
Il M° Daniele nella figura la gru bianca apre le ali del Taiji stile Yang
Di Flavio Daniele
Il Taiji Quan è frutto di una civiltà lontana da noi nello spazio e nel tempo, tanto che la traduzione e la spiegazione dei suoi principi presenta notevoli difficoltà sia linguistiche sia culturali; i suoi testi classici sono scritti con una terminologia specifica e un linguaggio simbolico ricco di metafore che bisogna sapere interpretare e tradurre. Una traduzione letterale non solo può risultare insufficiente, ma può indurre in colossali travisamenti. Il linguaggio che noi usiamo influenza in maniera determinante la nostra visione del mondo e il nostro modo di agire.
Termini semplici, ma fondamentali, come Fang Song, Rou, Gang, vengono tradotti in maniera semplicistica con rilassamento, morbidezza e durezza; in un certo senso il loro significato letterale è corretto, ma non lo è quello profondo. Spiegandoci meglio: ogni parola evoca in ogni essere umano determinate reazioni psicofisiche non solo in base al suo significato letterale, ma anche secondo un significato che coinvolge la sua storia personale (cultura di riferimento, emozioni, sentimenti ecc.). Per noi occidentali, per esempio, la parola rilassamento ha la connotazione passiva dello starsene comodamente abbandonati su un divano; non è così per il termine Fang Song usato nel Taiji: lo stato che evoca la parola Fang Song non è quello dell’abbandono passivo, ma quello di un rilassamento attivo, uno stato potenziale che può mutare all’improvviso anche in uno stato caotico come quello della lotta o in quello tranquillo di un monaco profondamente immerso nella meditazione, senza che ciò, sia in un senso sia nell’altro, generi tensione di qualsiasi tipo.
Non pensiate che rilassamento sia la sola parola che venga travisata, l’elenco è veramente lungo va da cedevolezza a opposizione, da duro a morbido, da lento a veloce, da pesante a leggero, da azione a non-azione, da pieno a vuoto; da aprire e chiudere, e così via. Travisamento linguistico che porta a un travisamento dell’essenza del Taiji Quan. Quindi, stiliamo una specie di vocabolario per i termini che non sono semplici qualità psicofisiche, ma abilità marziali. Il primo e il più importante, sia prima, sia durante, sia dopo la pratica, è Fang Song, o “rilassamento” nell’accezione sopraddetta, senza il quale non ci può essere progresso.
Rilassamento
Così come il mozzo regge tutti i raggi di una ruota, alla stessa maniera il rilassamento regge la leggerezza e la pesantezza, il pieno e il vuoto, la lentezza e la velocità, il morbido e il duro.
Il rilassamento sia muscolare sia mentale, è il giusto equilibrio dinamico fra tensione e distensione, tra passività e attività, tra yin e yang. La vera padronanza del proprio corpo nasce dalla capacità di passare volontariamente dall’attività alla passività e viceversa. Questo implica che “passività” non significa abbandono e rinuncia, ma significa scegliere e mantenere volontariamente uno stato di vigile inazione (wu wei). E’ questa la differenza sostanziale tra la passività e “l’apparente” inazione del Taiji, e la passività e l’inazione comunemente intese.
Per imparare a rilassarsi sono necessari tempo, attenzione e discriminazione. Dobbiamo, in pratica, affinare la nostra capacità di percepire le “differenze” e le “variazioni” dei nostri muscoli e dei nostri stati mentali.
Restando rilassati durante la pratica del Taiji impariamo ad agire ed a prestare attenzione a ciò che accade in noi e intorno a noi, perché non essendoci tensioni superflue, la respirazione è tranquilla e la mente è chiara e trasparente.
Il rilassamento così concepito ci permette di capire nel suo significato più profondo un altro principio fondamentale, quello della “cedevolezza”.
Cedevolezza
Per la maggior parte dei praticanti, che fa un uso eccessivo della propria forza, questo è un principio difficile da afferrare e viene spesso frainteso con “arrendevolezza”, per cui ci serviremo di alcuni esempi per cercare di spiegarne il significato: se tiriamo un sasso contro un vetro, questo si romperà, anche se lo tiriamo contro qualcosa di più duro come un muro, con ogni probabilità si scalfiranno sia il muro sia il sasso.
Ma se proviamo a lanciarlo contro un qualcosa in grado di cedere, di assorbire l’urto in maniera attiva, come può essere una spessa tenda di velluto, vedremo che la forza di impatto del sasso viene assorbita e annullata dalla cedevolezza della tenda. Tutta la strategia del combattimento del Taiji è basato sul concetto che: “La morbidezza vince la durezza”.
Infatti l’attacco non viene, quasi mai, affrontato direttamente ma schivato, deviato, intercettato e assorbito con tecniche e movimenti “morbidi”. Questa fase la possiamo definire la “fase passiva” della tecnica, seguita, senza soluzione di continuità, dalla “fase attiva” in cui la difesa si evolve in attacco.
Morbidezza
Molti scambiano la morbidezza del Taiji per mancanza di vigore, e non sono pochi quelli che si domandano perplessi come è possibile contrastare un attacco violento restando rilassati e morbidi. Anche qui ci possono soccorrere i classici, che parlano di sbarra di ferro avvolta nel cotone.
La sbarra di ferro è la nostra struttura interna, il cotone sono i muscoli superficiali.
L’immortale saggio taoista Lao Zi diceva: “Il morbido vince il duro, il debole prevale sul forte”. In questo detto è racchiuso tutto lo spirito del Taiji Quan. Non c’è principiante, praticante esperto o maestro che non l’abbia sentita o detta almeno una volta, ma veramente pochi l’hanno realizzata. Tutto sommato è difficile dare torto agli scettici: chiunque sia entrato in una normale palestra ha potuto constatare di persona che vige la legge del più forte, vige la supremazia della forza fisica. Ci sono molti praticanti che hanno raggiunto un ottimo grado di morbidezza nella loro pratica, ma veramente pochi sono quelli in grado di applicare la massima di Lao Zi. Questo perché in generale si pratica solo lo Yin (morbido, lento, rilassato, cedevole) e si trascura completamente lo Yang (il duro, il veloce, il teso, l’opposizione ).
Lentezza e Velocità
Quasi tutti pensano che praticando Taiji tutti i giorni in modo morbido e lento si diventa molto forti, cosicché con quattro once di forza si possono spostare mille libre. Ma non è così, la lentezza di cui si parla nei classici del Taiji è come quella della tigre che si avvicina al cervo, e la morbidezza è simile a quella del serpente che si attorciglia intorno alla preda. La lentezza è solo apparente e la durezza è nascosta dalla morbidezza come, ripetiamo, una sbarra di ferro avvolta nel cotone.
La lentezza non è lo scopo della pratica, essa è solo funzionale allo sviluppo di specifiche abilità marziali.
E’ un errore che commettono in molti, di scambiare la funzione per l’obiettivo. Si pratica lentamente per diversi motivi, il più importante è che per riuscire ad allineare corpo, mente ed energia occorre tenere sotto controllo tante cose diverse, che con una pratica veloce non si potrebbero controllare. E’ quanto succede, per esempio, quando ci si allena in uno dei principi fondamentali, l’emissione della forza nelle sei direzioni (Liu Fang). Per sviluppare questa particolare capacità marziale, quando si pratica la forma non si può essere troppo veloci, perché si richiede l’uso combinato della mente e del corpo, per immaginare una serie di pesi e contrappesi distribuiti in maniera sinergica in varie parti della nostra struttura; questo sistema di pesi e contrappesi dovrebbe essere in grado di creare delle resistenze che bilancino il corpo durante l’azione, in modo tale che il corpo stesso non sia né troppo avanti, né troppo indietro, né troppo in alto, né troppo in basso e così di seguito, in un bilanciamento
continuo e mutevole che crea un equilibrio dinamico indifferente alle mutevoli situazioni esterne.
Altre volte si lavora per creare l’unione tra lo Yi, o intento della mente, e il Qi. Questo è un altro modo di allenarsi che richiede molta attenzione, bisogna essere calmi e rilassati, cercando di percepire le variazioni toniche dei nostri muscoli, così da poter sciogliere eventuali tensioni che possono ostacolare il libero fluire del Qi. Solo quando l’energia interna fluisce libera allora si può incominciare a provare a guidarla. I classici paragonano questo processo alla lavorazione della seta.
Elasticità e Flessibilità
L’elasticità e la flessibilità di un artista marziale è cosa differente di quella flessibilità rilassata che troviamo nello yoga o nella danza. Egli ha bisogno di un tipo di flessibilità che potremmo definire multidimensionale: i muscoli non devono solo allungarsi, ma allargarsi, espandersi come una vela al vento. La sua flessibilità non deve essere di tipo passivo, ma attivo come quella di un tappeto elastico. Questo tipo di elasticità con forza è quella di cui ha bisogno il praticante di Taiji, che deve essere in grado di rispondere con “forza rilassata“ anche in posizioni del corpo disagiate, come quando si subisce, per esempio, una leva articolare. Per fare questo, egli deve agire sulla sua struttura interna lavorando sull’elasticità dei tendini, legamenti, ossa e muscoli, cercando di aumentare lo spazio interno fra i loro capi in modo che le giunture possano aprirsi aumentando il loro raggio d’azione.
La scioltezza ed il rilassamento devono basarsi su una reale sensazione di forza; bisogna cercare di estendersi il più possibile, ma senza perdere la connessione ottimale tra ossa muscoli, legamenti e tendini che lavorano insieme come un’unità. Per fare questo bisogna avere un “asse centrale di equilibrio” molto forte (Zhong Ding Jin), stabilmente “piantato” nel Dantian, a sua volta sostenuto da anche potenti e flessibili. Ciò vuol dire che i potenti muscoli della zona intorno al bacino devono essere il centro motore, da cui deve partire la forza, mentre i muscoli periferici delle gambe e delle braccia devono solo direzionare il movimento. Inoltre bisogna sviluppare la capacità di radicarsi stabilmente al terreno. Se si ha questa capacità, unita all’elasticità interna, il corpo è in grado di caricarsi assorbendo la forza dell’avversario e di restituirla come una potente molla.
Per attivare questi tipi di muscoli bisogna usare l’intento della mente e la potenza del respiro (vedi articoli precedenti sul potere del respiro).
Apertura e Chiusura
Aprire e chiudere non sono due azioni distinte e separate, ma l’una deve contenere l’altra, in modo che come dicono i maestri: “quando apri chiudi e quando chiudi apri“. Questo che sembra solo un sottile gioco di parole, invece, risponde ad un preciso modo di usare il corpo quando si esegue una qualsiasi tecnica. La spinta in avanti di un braccio (apertura) come, per esempio, nella tecnica “dividere la criniera del cavallo selvaggio“, deve essere controbilanciata dalla spinta indietro dell’altro (chiusura).
Il bilanciamento non deve essere fatto solo tra le due braccia, ma fra tutte le parti strutturali lungo le principali linee di forza del corpo: tra l’alto e il basso, la destra e la sinistra, la parte anteriore e la parte posteriore, l’interno e l’esterno (Principio delle Cinque Gerarchie). Questo bilanciamento tra le forze in azione deve essere continuamente presente, non solo tra le diverse parti, ma anche all’interno di una stessa parte: mentre un gruppo di muscoli apre, un altro chiude, mentre alcune articolazioni si chiudono, altre si aprono e così di seguito, fino a riuscire a controllare l’apertura e la chiusura all’interno della singola articolazione o del singolo gruppo muscolare. Questo processo equilibrante sempre più sottile del nostro corpo ci permetterà di essere perfettamente centrati, in maniera tale che, indipendentemente dalla posizione assunta e delle forze in gioco, il nostro asse centrale di equilibrio non subisca sensibili mutamenti. Le articolazioni più riescono ad aprirsi, più energia accumulano, più potenza possono sprigionare.
Pieno e vuoto
Uno dei concetti più difficili da afferrare è quello di pieno e vuoto. La sua comprensione richiede che siano realizzate alcune condizioni di base, senza le quali è difficile andare oltre una banale conoscenza intellettuale. Condizione indispensabile è avere raggiunto un buon livello di rilassamento psicofisico e di sensibilità propriocettiva, tale da essere in grado di percepire le differenze e variazioni toniche dei nostri muscoli e dei nostri stati mentali.
In questo modo possiamo capire la differenza tra la leggerezza e la pesantezza, che in un certo senso sono l’anteprima del concetto del pieno e del vuoto. Leggerezza e pesantezza, pieno e vuoto intrattengono un rapporto sottile, che se non ben compreso può generare confusione; spesso sono usati, in maniera impropria, come sinonimi.
Per esempio nella posizione “arco freccia della foto “dividere la criniera del cavallo selvaggo” la gamba davanti viene detta indifferentemente piena o pesante, mentre quella dietro vuota o leggera. Bisogna stare attenti, perché spesso pesante viene scambiato con “essere pesante, sotto sforzo, greve“, e vuoto con “essere leggero, inconsistente, senza struttura“. Quando questo avviene, quando una gamba “piena” diventa anche “pesante”, perdendo la sua dinamicità, sincorre in quello che viene chiamato l’errore del doppio peso, che non è, come pensano i più, quando si ha il peso distribuito al 50% sulle due gambe come nella posizione del cavaliere (ma bu). Invece, paradossalmente il pieno si coniuga con il leggero ed il vuoto con il pesante; se così non fosse si contraddirebbe la legge fondamentale del Taiji: dentro lo Yang c’è lo Yin, dentro lo Yin c’è lo Yang.
Nella posizione la “gru bianca apre le ali ”, la gamba davanti è vuota di peso, ma piena d’intenzione, pronta a calciare; le braccia si muovono leggere, ma colpiscono pesante. Il Taiji è basato sul principio Yin/ Yang, che rappresenta tutte le possibili dicotomie (positivo/negativo, giorno/notte, buono/cattivo ecc.). Questa legge universale si applica anche alla struttura del nostro cervello e al nostro processo d’apprendimento: noi impariamo per paragoni (Yang) e contrasti (Yin). Si capisce il caldo in relazione al freddo, il dolce in relazione all’amaro, la leggerezza in relazione alla pesantezza. Ecco perché nel Taiji si ricerca la velocità attraverso la lentezza, la durezza attraverso la morbidezza, la pesantezza attraverso la leggerezza.