Non conoscevo Clive Williams Nicol prima di leggere questa bellissima intervista appena fattagli da Shaun Banfield e pubblicata on line su TheShotokanWay http://www.theshotokanway.com/aninterviewwithcwnicolp1.html .
Shaun
è un amico della KWF, e ci capita di scambiare qualche opinione sul nostro forum
KWFonline. Shaun ha anche l’abitudine di chiedere sul suo forum, di suggerire le
domande che vorremmo venissero chieste ai personaggi che saranno poi di volta in
volta da lui intervistati.
Conoscevo di fama il libro scritto da Nicol, però sinceramente non l’ho mai letto. Il desiderio di leggerlo mi era sorto molte volte, ma dopo questa intervista non potrò fare a meno di comprarlo.
Si intitola “‘Moving Zen – One Man’s Journey to the Heart of Karate’” ovvero Zen in movimento, viaggio di un uomo al cuore del Karate.
Benché forse sia poco conosciuto in Italia, è un vero e proprio best seller nel
mondo del Karate anglosassone, uno di quei libri che non manca in qualsiasi
scaffale degli appassionati e che viene spesso citato nelle discussioni. Credo
che non sia mai stato tradotto in italiano, e la cosa mi stupisce.
Noi
praticanti il K. classico siamo sempre famelici di notizie sul mondo del K.
giapponese, ma nessuno può raccontare meglio quel mondo, che un occidentale che
l’ha vissuto pienamente.
In
questa intervista leggerete della vita avventurosa di Nicol, ma vi posso
anticipare che lui incarna l’immagine che io ho del miglior modo di vivere
pienamente la nostra Arte. Una pratica libera, in giro per il mondo,
interpretando il K. nel suo contenuto essenziale, adattandolo alle proprie
necessità e abilità, distante sia dai perfezionismi estetici della pratica, sia
dai cliché dell’atletismo e del fitness che vanno oggi per la maggiore,
cogliendo quello che ci possono offrire le occasioni di contatto con i grandi
Maestri, ma anche con le piccole o grandi avventure quotidiane.
Nicol è un gallese, classe 1940, che vive da ormai molti anni in Giappone, anzi ha acquisito la cittadinanza giapponese…..vabbè, ma è meglio che ce lo racconti lui stesso:
(C.W.Nicol) Siete i benvenuti, mi fa piacere di poter raggiungere molti vecchi amici in tutto il mondo attraverso questa intervista.
(CWN) Si, sono gallese, sono nato a Neath nel 1940, ma poi ci trasferimmo e
andai a scuola a Ipswich e Cheltenham. Però quando ero in vacanza continuavo
sempre a tornare nel Galles, anche se dovevo attraversare Londra, fino a quando
ci spostammo a Cheltenham quando avevo 13 anni.
(CWN) Io ho avuto un papà nuovo quando avevo 10 anni, e lui era della Royal
Navy. Ero molto orgoglioso di lui e questo mi spinse a entrare nei Cadetti
della Marina quando ne avevo 12. Fino ad allora a scuola avevo subito un sacco
di angherie da certi bulli sadici di 16 o 17 anni. Nei Cadetti della Marina
avevamo un istruttore che ci insegnava qualche rudimento di quello che lui
chiamava Jujitsu. Scoprii presto che con poche tecniche si può dissuadere un
bullo. Il fatto era che le tecniche erano piuttosto crude e brutali, e dopo che
mio padre fu chiamato dalla scuola per i danni che avevo fatto a un ragazzo di
17 anni, lui parlò con l’istruttore dei Cadetti della Marina per dirgli che
avrei preso delle vere lezioni di Judo. Per cui entrai in un Club di Judo alla
YMCA di Cheltenham (ndt: la YMCA, acronimo di Young Men's Christian
Association - Associazione Giovanile Maschile Cristiana - è un’organizzazione
cristiana ecumenica che mira a fornire supporto ai giovani e alle loro attività.)
Il nostro istruttore era un ex commando dei marines, con esperienza di guerra,
ed era DURO. Però a 14 anni incontrai un vero Maestro di arti marziali, il
famoso Koizumi Gunji sensei.
Koizumi sensei arrivava dal Budokai di Londra per insegnare a noi, per tre
interi giorni. Questo fu rivelatore. Questo gentiluomo giapponese molto cortese
poteva lanciare l’ex-commando come una bambola di pezza. Non avevo mai visto
una cosa simile. Mi fece tornare alla mente cosa mi diceva sempre mio nonno
gallese: un uomo veramente forte è prima di tutto un gentiluomo.
(SB) lei ha ricordato che non c’erano dei veri
insegnanti di K. in UK. Vuol dire che ce n’erano, ma non insegnavano un buon
K.?
(CWN) Io chiesi in giro nell’ambiente del Judo, ma non trovai insegnanti di
K., trovai un libro, di Harrison mi pare. Penso che fu nel 1955 o 1956 che la
rivista “Life’ diede una grande diffusione al K. Non vidi mai praticare
del “vero” K. fino a quando non visitai il dojo di Ari Anastasiadis a Montreal.
(CWN) La spedizione a devon Island organizzata dall’Arctic Institute of
North America aveva scienziati che provenivano da America, Canada, Gran Bretagna
e Svezia, in molti campi come la geologia, l’oceanografia, l’archeologia, lo
studio dei ghiacci ecc. Io ero un assistente generale, nel senso che lavoravo
con tutti. Durante il lungo inverno eravamo solo in cinque e stavamo o al Campo
Base occupandoci di meteorologia, o fuori a preparare nascondigli per l’estate
imminente. Devon Island è abbastanza grande e noi eravamo i soli cinque esseri
umani nell’isola. Quando la spedizione terminò avevo messo da parte 6.000
dollari canadesi. Era una grossa cifra nel 1962. Avevo 22 anni e avevo ancora il
desiderio di andare in Giappone e imparare il K.
Sapevo
naturalmente che, come sappiamo, il K. come lo conosciamo si formò come un’arte
a Okinawa, ma io avevo un’immagine idealistica del mondo, e non volevo andare in
un posto ancora sottoposto alle regole militari americane. Alcune persone del
Judo di Montreal mi presentarono ad Ari Anastasiadis, che aveva un club di K. a
Montreal. Ari disse che tutti i grandi stili erano insegnati a Tokyo, e fu lui
che mi presentò alla JKA. Come succede, avevo un vecchio amico di Cheltenham,
Klaus Naumann, che mi scrisse mentre ero anche nell’Artico, dicendomi che lui
era in Giappone, e che studiava il K. in un dojo a Yotsuya. Quando andai a Tokyo
mi iscrissi al Kodokan per il Judo, e presi alloggio là. L’honbu dojo della JKA
era sulla strada (a meno di dieci minuti di metropolitana da Yotsuya).
Klaus Naumann fu quello che mi portò per primo là.
(CWN) Takagi sensei era un uomo molto pragmatico, saggio e navigato. Rimase
molto impressionato che io a 22 anni avessi all’attivo già tre spedizioni
artiche. Fu Takagi Sensei che mi suggerì di vedere alcuni degli altri grandi
stili, e poi fare la mia scelta.
(CWN) Non l’ho mai visto insegnare, ma talvolta diceva a noi o agli
istruttori più giovani di fare questa o quell’altra tecnica.
(CWN) Io rispetto profondamente tutte le scuole di arti marziali genuine e
ho abbandonato da molto tempo la discussione infruttuosa su quale sia
“migliore”. Io scelsi di studiare con la JKA all’honbu dojo di Yotsuya per la
reputazione che avevano molto istruttori, ispirati dal grande guerriero
gentiluomo e Maestro Nakayama Masatoshi. Lo sitle Shotokan era profondo, veloce
e preciso. Questo mi piacque,. L’altro fattore è che essendo passato prima
attraverso molti pericoli, ero troppo maturo in almeno una parte del mio
carattere per poter riverire qualcuno come un guru. Nakayama Sensei si
aspettava di essere rispettato come il Chief Instructor, non pretese mai alcun
tipo di deferenza quasi religiosa. Inoltre, con i molti altri istruttori, si
poteva vedere una loro reale genialità, ognuno però era unico, anche se tutti
seguivano lo stesso stile. Questo mi piacque.
(CWN) Penso che Sasaki Sensei ora viva e insegni nelle Filippine, anche se
ne ho perso i contatti. Lui era molto socievole e gentile quando non eravamo nel
dojo, e aveva un grande senso dell’umorismo. Avevamo circa la stessa età e gli
piaceva bere una birra dopo l’allenamento, e anche se avrebbe potuto abusare del
suo potere con i nuovi arrivati, non lo fece mai. Era velocissimo e stava per
ottenere la qualifica di istruttore.
(CWN) Okuda Sensei era anche uno yudansha di Judo. Era severo come sempai,
ma estremamente gentile, premuroso e cortese come amico. Lui andò poi a
insegnare in Brasile e da allora non l’ho più visto. Seto sempai è ancora un
amico da una vita. Siamo stati insieme a cacciare insieme i cinghiali selvatici,
abbiamo fatto un sacco di cose insieme. Seto sempai non diventò un istruttore
pofessionista, ma avrebbe potuto certamente diventarlo. Piccolo, ma molto, molto
veloce. Combattere con lui era come cercare di avere la meglio con un incrocio
tra un calabrone e un’anguilla, con il calcio di un mulo. Una volta persi la
pazienza e lo afferrai con una presa di wrestling.
Lui
incominciò a battere sul mio cranio come un piccolo battipalo. Molto poco
dignitoso per me, e una grande risata dagli altri istruttori.
(CWN) Nei primi due anni e mezzo in Giappone io ho vissuto per circa un
anno con Donn Draegar nella sua grande casa del periodo Meiji che lui
condivideva con studenti di arti marziali provenienti da tutto il mondo. Donn
stava redigendo una serie di libri 'Practical Karate' insieme a
Nakayama Sensei. Donn mi reclutò come uno dei giovani “teppisti” che
dovevano usare i trucchi delle tecniche di strada su Nakayama Sensei. Lui ci
sconfisse tutti facilmente, sia che ci avvicinassimo a lui con un calcio, con un
pugno, con un soffocamento, con una presa da dietro e persino con una bottiglia
rotta.
La
dice lunga sulla sua maestria nel K. il fatto che, per la sua innata cavalleria,
nessuno rimase ferito. Nakayama Sensei fu sempre molto fermo e tenne sempre
sotto controllo i suoi giovani e talvolta scontrosi istruttori. Non provarono
mai a contrariarlo. Era sempre pronto a offrire a qualcuno il suo tempo e la sua
saggezza, e a dare un consiglio gentile. Quando lui morì mi colse una grande
tristezza che sconvolse me e moltissimi altri. Comunque, andai ai suoi funerali.
Quando ritornai in Giappone proveniente dall’Etiopia, Nakayama Sensei mi aiutò
in una ricerca interiore e un nuovo timore del jiyu kumite. Io avevo combattuto
i banditi e i bracconieri sulle montagne dell’Etiopia, e il K. mi aveva salvato
la vita molte volte, ma con risultati letali sulle altre persone. Ero
spaventato all’idea di non essere capace di controllare le mie tecniche e di
ferire un compagno di dojo. Lui mi fece superare quella cosa, perché sapeva
esattamente cosa mi stava preoccupando. Quando alla fine mi parlò, mi guardò
solo per un momento con quello sguardo tranquillo che aveva e mi disse "Era
o la tua vita o la loro, dimentica quelle cose. Allenati più duramene, e se mai
ci fosse un’ altra occasione come quella, tu avrai più controllo. Continua ad
allenarti e non perdere la tua sincerità”
.
(SB) E quel consiglio la aiutò a superare le sue
nuove paure del jiyu kumite?
(CWN) Io per lo più ora mi alleno da solo, eccetto quando vado a Okinawa.
Non ho più “paura” del jiyu kumite, ma posso solo apprezzarlo come una pratica
tra me e un compagno di dojo di cui ho fiducia, non come una specie di
competizione. Ippon kumite è più di mio gusto. Le faccio presente che io non
sono un karateka professionista a tempo pieno, e compirò 69 anni quest’anno, e
questo forse ha la sua importanza.
(CWN) Quando Kanazawa Sensei ritornò dalle Hawaii, chiese a tutti i suoi
studenti stranieri se avevano intenzione di insegnare il K. quando sarebbero
tornati nei loro paesi. Io dissi di no, almeno non a tempo pieno, perché avevo
un altro lavoro. Quando mi chiese il perchè studiavo K. io risposi che per me
era un percorso per la dolcezza. A lui questo piacque, e per molti mesi mi dette
lezioni private, di un’ora ciascuna, prima che il dojo aprisse la mattina. Non
pretese alcun pagamento, ed è per il suo insegnamento che io riuscii a cavarmela
all’esame per shodan.
Kanazawa Sensei ha portato dei suoi studenti dove io vivo a Kurohime per farli
lavorare in un ambiente naturale. Abbiamo condiviso il cibo, le chiacchiere e i
sogni. Il suo K., naturalmente, era ed è pauroso nel vero senso della parola.
Lui è un gentiluomo, con un forte senso dell’umorismo. Io non sono gay, ma amo
quell’uomo. Ricordi? O, quanti! Però, uno mi viene in mente: Takagi Sensei ci
aveva chiesto di partecipare ad un programma televisivo a Tokyo. Il programma
era una specie di gioco a quiz. Quattro stranieri se ne dovevano stare in
Karategi davanti a una giuria, e tre di loro avrebbero raccontato delle cose non
vere sul loro allenamento. Uno solo sarebbe stato quello sincero….quello ero io.
Kanazawa Sensei se ne stava la, e sorrideva.
Poi lui chiamò un altro karateka, un giovane Americano che si chiamava Gary, e
gli disse di attaccare il vero studente, che avrebbe parato. Nessuno della
giuria pensò che fossi io. Dopo, Kanazawa Sensei ci portò fuori a pranzo in un
ristorante specializzato in cibo per i lottatori di sumo, 'chanko nabe'.
Allora
io già me la cavavo col giapponese, e raccontai a Kanazawa Sensei di una grande
gaffe che feci quando andai per la prima volta alla Seto house per cena. Io
chiesi a qualcuno di passarmi il 'chinko’- che significa “piccolo pene”
– mentre volevo dire 'shinko' che significa sottaceti. Questo divertì
molto il tipo di Seto.
(CWN) Io penso che questo tipo di orgoglio lo si possa trovare nella maggior
parte delle culture, ma si può manifestare in molti modi. In Giappone, come
nelle culture arabe, mostrare la pianta del piede o usare un piede o una
calzatura per attaccare può essere un orribile insulto. La gente delle montagne
in Etiopia può sentirsi veramente insultata anche da una pacca amichevole sulla
schiena. Io penso che essere in Giappone mi ha reso più reticente a stabilire
qualsiasi tipo di contatto fisico con i giapponesi che non conosco. I modi
giapponesi, mischiati alla mia educazione britannica (alzarsi quando una donna o
qualcuno più anziano entra in una stanza, togliersi il capello per salutare
qualcuno, ecc) sono stati un grande patrimonio con gli orgogliosi guerrieri
Amhara della montagna dello Simien, in Etiopia.
(CWN) Non fu Kanazawa Sensei, ma un amico dottore del National Police
Hospital di Tokyo che mi disse che se si sparpagliasse l’intera area
superficiale dei polmoni di un uomo adulto, coprirebbe un campo da tennis.
Quella ovviamente è un’area molto sensibile e reattiva. Nella nostra vita
moderna quotidiana noi usiamo solo una piccola parte di questa superficie.
Respirare profondamente in una foresta naturale ha un effetto molto terapeutico
e può stabilizzare la pressione sanguigna, migliorare il sistema immunitario e
ridurre lo stress. Molti sistemi, quali lo yoga per esempio, promuovono questo.
Invece, da Kanazawa Sensei ho imparato i metodi pratici di respirazione
profonda, come nel kata che facciamo. Era molto saggio nell’insistere su questo
con i suoi studenti, e naturalmente ne abbiamo parlato.
Personalmente mi auguro di vedere molti più allenamenti in ambienti naturali non
inquinati, dove la respirazione profonda avrebbe davvero grande effetto.
Ma
soprattutto, era sempre vicino e aiutava chi ce la metteva tutta. Non era
terribile come Enoeda sensei, ma era uno che si faceva ubbidire. Era un tipo
tarchiato, molto potente, e questo lo si poteva percepire e sentire, ma il suo
Karate era puro Shotokan. Come ho già detto, ciascun istruttore era unico, ma
tutti seguivano l’impostazione Shotokan.
(C.W.Nicol) Tutti gli istruttori più anziani ricordavano e rispettavano
molto, molto profondamente Funakoshi Sensei. Noialtri capivamo che non fu solo
un pioniere, ma un grande studioso delle arti marziali.
(SB) Come sempre, noi apriamo ai lettori sulla
rivista online ogni intervista, così che loro possano porre le domande che poi
farà l’intervistatore, e abbiamo letteralmente avuto un numero infinito di
domande mandate via email. Una di quelle più ricorrenti riguarda ‘Bullet
Head’ che lei cita nel suo
Moving Zen… può rivelarci chi è ‘Bullet Head’ o preferisce tenerne l’anonimato?
(CWN) Lui era uno studente della Takushoku University. Ho sentito che poi
è diventato un istruttore, ma non ho mai saputo il suo nome e non ho mai
assolutamente voluto tenerlo anonimo. Se ci incontrassimo adesso ci berremmo
insieme una birra e ci scherzeremmo su.
(CWN) Quando ero a Winnipeg, in Canada, dove lavoravo per il Freshwater
Institute del Fisheries Research Board, ero solito dare una mano al Karate club
dell’Università di Manitoba. Dopo l’allenamento andavamo a farci una birra, e
raccontavo a tutti le vecchie storie del passato a Yotsuya. Fu il mio kohai al
club che mi spinse a scrivere il libro, e ho voluto che fosse la semplice storia
di un viaggio dalla cintura bianca alla nera, non mi sarei mai aspettato che
diventasse un tale successo internazionale.
(CWN) Il cuore del Karate? Se posso osare, ed essere letto da così tanti
altri karateka, molti dei quali sapranno molte più cose di me, mi avventurerei a
dire che il cuore del Karate è il vero Bushido. Non il Bushido fanatico e
spesso brutale, il falso Bushido dell’esercito giapponese prima e durante la II
Guerra Mondiale, ma la “via del guerriero”, dove essere vero e sincero era di
primaria importanza. Avere il coraggio e la moralità di alzarsi a proteggere le
creature che sono più deboli, più vulnerabili, incapaci di proteggersi da sole.
Protestare contro il male. Non essere mai un bullo. Rispettare i tuoi sensei e
sempai. Essere un amico affidabile dei karateka di tutto il mondo. Sforzarsi di
essere qualcuno di cui il tuo insegnante può andare fiero. Avere dignità nella
sconfitta , nel dolore e nella malattia. Non smettere mai di studiare.
(CWN) Ha! Chiunque perde il controllo imparerà presto in un dojo! Suppongo
che scoprire molto velocemente che non erano solo i tipi grandi e grossi che
potevano darmele, ma anche quelli piccoli, fu di grande aiuto per ridurre il mio
ego, ma tutto faceva parte del crescere e di fronteggiare le conseguenze della
violenza incontrollata. Non volevo essere cacciato dal dojo e nemmeno essere
espulso dal Giappone.
(SB) Lei seguì Sensei Kanazawa unendosi alla SKIF quando lui se ne andò (dalla JKA ndt)? Può dirci cosa ricorda di quei tempi?
(CWN)
Molto onestamente, ne dubito, ma se succederà, partirà dai leader fuori del
Giappone.
(CWN) Si.
(CWN) Alcuni mesi dopo che ottenni il shodan, ritornai in Canada per lavorare come tecnico dei mammiferi marini alla Stazione Biologica dell’Artico, del Fisheries Research Board del Canada, a Montreal. Mi aspettavo di essere mandato nell’Artico, ma invece mi mandarono all’Isola di Vancouver, Coal Harbour, per imparare a prendere le misurazioni e campioni biologici dalla grandi balene. I giapponesi avevano una spedizione sulle balene con un’azienda canadese. Dopo un mese là, mi mandarono in Nuova Scozia, dove un’azienda norvegese-canadese cacciava pinne di balena. Quando non ero sul campo, o insegnavo in alcuni corsi per principianti in una scuola di Ste. Anne de Bellevue, o venivo in città ad allenarmi con Ari Anastasiadis.
Dopo
un paio d’anni di queste cose, sono tornato a viaggiare con gli Inuit e a
studiare lo foche nell’Artico. Poi sono stato assunto da Haille Selassie per
diventare il primo guardiacaccia del nuovo parco nazionale nelle Montagne del
Simien.
Dopo
che la situazione in Etiopia incominciò a portare al caos e a un brutale stato
militare marxista, ritornai in Giappone per un paio d’anni. Questa volta studiai
il giapponese e la pesca, oltre a frequentare i dojo tutte le volte che riuscivo
a farlo.
Due
anni più tardi fui impiegato dal Freshwater Institute di Winnipeg, come tecnico
esperto in studi sul campo nell’Artico occidentale, principalmente su una
possibile conduttura. Fu a quel tempo che mi allenai con alcune persone che
arrivavano dal Karate club dell’ Università di Manitoba.
Fui
promosso a Ufficiale per l’Emergenza del Servizio per la Protezione Ambientale,
a Vancouver. Là mi allenai con Narumi Sensei.
Nel
1974 mi assecondarono per essere l’Assistant Manager dello stand canadese
all’International Ocean Expo a Okinawa. La mia prima volta nella roccaforte del
Karate! Quando avevo del tempo libero potevo andare a fare immersioni, o
pescare, o viaggiare per visitare i dojo in giro per l’isola principale.
Nel
1978 ho dato le dimissioni e ho lasciato il Canada per ritornare in Giappone, ho
vissuto per un anno nell’antico villaggio di pescatori di balene di Taiji , poi
sono stato invitato a navigare nell’Artico come osservatore non pagato sulla
flotta per la pesca delle balene. Scrissi il mio romanzo storico ‘Harpoon’
sul mare, e fu quel romanzo che mi ha veramente lanciato nella carriera di
scrittore. Da allora il Giappone è stato la mia base e la mia casa.
(CWN) Siamo tutti in verità discepoli di Funakoshi Gichin, un Okinawense, e
lei ha già scritto eccellenti articoli sul Karate di Okinawa. Negli ultimi 25
anni tuttavia, andando a Okinawa almeno una volta l’anno, sono rimasto
affascinato dal modo in cui le arti marziali sono state intrecciate nell’arazzo
della danza tradizionale. Era considerato un modo di praticare l’arte proibita,
dissimulato nella danza. Più di recente ho incontrato un vero maestro di
‘Ti’ o ‘Te’. Lui è un tipo piccolo e tarchiato sulla sessantina
d’anni, ma tanto micidiale. Lui è anche un solitario, e diffidente dei media,
perciò per favore non chieda altro, il suo nome o altre cose. Mi lasci solo dire
che lui vive a Naha e fa i tre banjo ‘sanshin’ tradizionali a corda. Ci
sono dojo di arti marziali sparsi in tutta Okinawa, e la gente è molto
socievole. E’ un posto, secondo me, che vale un pellegrinaggio. Il miglior modo
di farlo, per essere accettati, è viaggiare da soli con il vostro karategi. Se
andate in una scuola diversa dalla vostra, e vi consentono di praticare,
chiedete sempre all’insegnante se può prestarvi una cintura bianca. Questa è
l’etichetta. Lui sarà probabilmente contento, magari un pò confuso, ma
probabilmente vi dirà di indossare la vostra cintura nera, se è questo che
siete. Ogni scuola di arti marziali a Okinawa è fermamente convinta di essere la
migliore. Non provate a scuotere quella barca, anche se pensate che voi siete
meglio.
(CWN) Si può praticare il kihon e il kata ovunque voi siate, ma per me è
sempre stato più facile farlo dove nessuno stava a guardare, per esempio in
qualche posto selvaggio. Io onestamente ho trovato che dopo un lungo viaggio in
una barca o in un kayak, trascinando in giro dell’attrezzatura pesante per
preparare il campo, facendo tutti i movimenti del preparare il te e un pasto,
poi è veramente rilassante ripassare un paio di kata, prima lentamente e
gradatamente accelerando. Magari non è un vero e proprio allenamento, ma ti
toglie tutti i nodi dal corpo e ti aiuta ad andare a dormire. In un campo base è
facile preparare un makiwara con un palo interrato e un pò di imbottitura, o
riempire una piccolo borsa con qualcosa e appenderla. Per molti anni avevo una
borsa di tela, circa le dimensioni di una testa col collo, piena di riso. Il
riso era una razione d’emergenza per i lunghi viaggi. Sono stato in quindici
spedizioni artiche, la più corte di tre mesi la più lunga di diciannove. Persino
andando a sud nell’Antartico su una nave per cacciare le balene sono riuscito a
trovare un angolo da qualche parte per fare dei kata che non prendevano un
grande spazio. Per esempio Tekki Shodan. Confessò però di essere stato molto
pigro nelle camere d’albergo.
(CWN) Ora uso un grosso sacco piuttosto che un makiwara molto rigido,
perché mi sto avvicinando ai settant’anni, e non penso che colpire continuamente
faccia bene alle ossa quando diventano più vecchie. Io viaggio molto, e ora mi
alleno solo quando so che posso stare in un posto per almeno due settimane.
Altrimenti potrei facilmente farmi male, il che intralcerebbe il mio lavoro. Ho
trovato che l’allenamento con il sai è d’aiuto, ma di questo poi parliamo.
(CWN) Gli yakuza sono ancora molto potenti, e come la Mafia o comunque si
chiami, si sono allargati in tutte le cose che sembrano legittime. Costruzioni,
campi da golf, e così via. Una delle nostre aziende locali di trattamento dei
rifiuti è una filiale diretta degli yakuza, e non ho paura a dire questo, e lei
è abbastanza lontano da essere al sicuro. Se la polizia li inchiodasse, poi
l’azienda di trattamento dei rifiuti farebbe bancarotta e poi rispunterebbe poco
dopo con un altro nome. L’attuale governatore della prefettura di Chiba mi ha
detto una volta che la polizia fece una investigazione sotto copertura nel
business dei rifiuti tossici. Le somme di denaro erano così grandi da poter
finanziare il bilancio nazionale di un piccolo stato. Il funzionario a capo non
fu in grado di fare nulla, perché il denaro aveva comprato o minacciato tutto e
tutti. Lui si ritirò dalla polizia e ora vive in solitudine nella natura a
Hokkaido. Mi può credere in questo, sono stato consulente di tre ex primi
ministri del Giappone. Quando si tratta di rifiuti tossici, la mia risposta è
che dovrebbe essere tutto aperto, e ci si dovrebbe mettere dei soldi, con le
persone che ci lavorano ben pagate e con un’assicurazione sanitaria e così via.
E’ molto ingiusto legittimare imprese del trattamento dei rifiuti in cui le
imprese degli yakuza possono prendere scorciatoie e fare ampi profitti.
(CWN) Amavo gli animali e la natura fin da piccolo. Ho sempre voluto
lavorare nel campo della tutela dell’ambiente, nella ricerca e nella cultura
della natura. È molto ovvio che le cose della natura selvaggia hanno bisogno di
protezione. Per me, studiare le arti marziali ha aiutato. Non avrei potuto fare
quello che ho fatto, per esempio, per fondare il Parco Nazionale delle montagne
dello Simien in Etiopia, per esempio, senza il Karate e la condizione mentale
cui mi ha portato. Per esempio, anche se io ero armato con una pistola Walther
PPK e un fucile, non li ho mai usati per fare un arresto, anche quando l’altra
persona era armata.
(CWN) Quando è possible, e se non lavoro fuori, posso sempre guardare e
parlare con altri praticanti le arti marziali ovunque loro siano. Fatemi
raccontare questa storia. Stavo facendo un documentario nello Zaire, e stavamo
filmando il grande vulcano del Niiragongo. Una sera stavamo percorrendo una
strada polverosa al di fuori di Goma quando individuai venti ragazzi africani
che facevano una versione di Heian Nidan. Nessuno di loro aveva il karategi, e
il loro istruttore avrebbe potuto essere forse a livello di 3o kyu.
Dissi all’autista di fermare, saltai fuori, arrivai dov’era l’istruttore, mi
levai il berretto scadente, mi inchinai, e mi misi a fare anch’io il kata.
L’istruttore mi chiese dove avevo imparato, e quando dissi “Giappone” i ragazzi
si entusiasmarono e mi chiesero di insegnargli, cosa che io feci. Avevo degli
abiti e stivali da lavoro, la carnagione rubiconda, occhi azzurri e barba. Loro
erano tutti africani, e inizialmente diffidenti dei caucasici. L’autista e il
direttore mi chiesero di andare, ma io dissi loro andate, posso tornare a piedi.
Mi dissero che poteva essere pericoloso, e io risposi “Non con tutti questi
ragazzi con me.” Gli insegnai per un’ora, fino a quando venne il buio, e
poi tornammo a piedi tutti a Goma, ridendo e scherzando come vecchi amici. Il
Karate può aprire porte come questa.
(CWN) Questo è il modo in cui mi è stato insegnato. Però penso che man mano
che si diventa più sicuri nella propria arte, si può mostrare interesse nelle
altre. Kanazawa Sensei pratica con passione il Tai Chi, per esempio. Il
Giappone è cambiato? Oh, tantissimo. Non sono completamente sicuro che porre
così tanta enfasi nello sport Karate sia stato un bene. Tuttavia, lo spirito del
Karate, se posso usare questo concetto, è ancora molto vivo, e dobbiamo
ringraziare agli enormi sforzi di tutti i grandi maestri che sono andati in giro
per il mondo, e ai grandi studenti cui hanno insegnato.
(SB)
La relazione Kohai – Sempai in Giappone ha un grande significato, ma non
è molto seguita in occidente. Quali pensa che siano gli aspetti più importanti
di questa relazione e pensa che dovrebbe essere posta più enfasi su di essa qui
in occidente?
(CWN) Si molto, il legame kohai-sempai è importante, specialmente in una
arte potenzialmente letale come il Karate. Esso insegna il mutuo rispetto e
fiducia, una fiducia che va oltre il proprio stato sociale, l’istruzione o
quant’altro. Si impara il rispetto e la fiducia vis-a-vis, e se sono buoni, dura
tutta la vita. Per quanto riguarda questa relazione in occidente, penso che
faccia bene nel karateka veramente sincero. Non deve essere una specie di
sistema scolastico basato sull’anzianità; perché questo può portare al
bullismo…che, ad ogni modo, non è sconosciuto in Giappone. Io posso essere più
grosso e più famoso di Seto sempai, ma lui sarà sempre il mio sempai e mi
inchinerò sempre a lui per primo, dentro o fuori dal dojo.
(CWN) Colpire violentemente il chiodo che sporge è molto tradizionale nella
formazione giapponese. E’ inteso a prevenire l’arroganza. A scuola suppongo
scoraggi i “prediletti del professore”. In un buon dojo significa che nonostante
ci sia la relazione tra kohai e sempai, e il rispetto e l’obbedienza che si
mostra al sensei, non ci sono bulli arroganti o aspiranti eroi. Però, nel
sistema educativo giapponese, specialmente quando si tratta di studenti della
scuola superiore, e dell’università, diventa particolarmente difficile per un
insegnante farsi capire dagli studenti perché diventano riluttanti a rispondere
o reagire.
Io penso che dipenda molto dalla qualità dell’insegnante e dal suo rapporto con gli studenti.
In
Giappone, abbiamo ancora dei casi molto brutti di grave bullismo tra ragazzi,
che io disdegno. E se sei un chiodo che sporge, prendila con calma, e cerca di
rafforzarti per la batosta, e riconoscerai presto la differenza tra il bullismo
e cercare di fare di te un karateka migliore.
(CWN) Si, sono un cittadino giapponese. Ho vissuto più a lungo in Giappone
che in qualsiasi altro paese, e la cittadinanza permette sia possedere terreno
agricolo, sia di mostrare impegno verso il paese che ti nutre e ti protegge. Per
costituire una associazione per la protezione dei terreni boschivi era
necessario avere la cittadinanza. Sono orgoglioso sia di essere cittadino
giapponese sia di essere gallese. Un gallese giapponese. Come paese
dall’ambiente naturale, è sbalorditivo. Per esempio, più del 70% della
prefettura di nagano è ricoperta di foreste, in cui ci sono orsi, cinghiali
selvatici, scimmie, cervi e tante altre creature. Se non si include l’ Alaska,
il Giappone ha coste più lunghe che gli Stati Uniti. Abbiamo mar ghiacciato al
nord, mare corallino al sud. Guardo fuori della finestra di questo studio e vedo
il monte Kurohime...la Principessa Nera...un vulcano inattivo, rimboschito
sulla cima, e alto il doppio di Ben Nevis. Hai libertà di parola, libertà di
movimento e libertà di religione. Puoi essere di qualunque credo tu voglia
nessuno di giudicherà e ti attaccherà per quello.
E per
questo vecchio karateka gallese-giapponese, è stato un momento di grande
orgoglio davvero quando il Principe di Galles venne a visitare i nostri boschi
il 30 ottobre 2008!
(CWN) Assolutamente si! Takagi Sensei era quello che disse che 'il
Karate e zen in movimento' – e lui intendeva lo stato di vuoto mentale che
si può raggiungere attraverso la pratica del kata. Se lo provi, lo sai; non può
essere descritto adeguatamente, almeno non da me, alle persone che non praticano
il kata adeguatamente. Tutti I più grandi insegnanti di arti marziali ci hanno
detto questo, nel corso degli anni,
Adesso
che me l’hai chiesto, mascalzone di un Shaun, dovò veramente cercare di farlo
tutti I giorni che posso l’anno prossimo! E’ molto più semplice camminare nei
boschi e agitare un bastone mentre nessuno ti guarda!
(CWN)
Il Karate è l’equilibrio nella mia vita, e mia ha procurator amicizie in tutto
il mondo. Sono profondamente grato a tutti voi che fate parte di questo.
Dovremmo tutti sforzarci di essere guerrieri per la pace e la tolleranza.
(CWN) Prego Shaun, Osss!